
Esci dalla sala del cinema dopo aver visto “Trashed-Verso rifiuti zero” e ogni pezzo di carta sull’asfalto che prima di entrare magari hai ignorato (se non lo hai addirittura lasciato cadere distrattamente tu stesso) ti balza agli occhi in maniera violenta, come un pugno nello stomaco. Forse qualcuno avrebbe preferito non sapere fino a questo punto ma ormai la porta si è aperta e chiudere gli occhi non può bastare.
Il film diretto da Candida Brady inizia con un’immagine della Terra vista dallo spazio: sembra un piccolo gioiello, un puntino che ha saputo differenziarsi dal resto dell’universo dando la vita. Poi, come se in orbita si usasse una lente di ingrandimento, l’immagine zooma su questo apparente paradiso rivelando una realtà ben diversa. L’attore Jeremy Irons in questo film documentario ci porta nei posti più insospettabili: anche qui l’uomo è riuscito a rovinare tutto.
L’inquinamento non è solo nelle montagne di rifiuti di Napoli che tanto ci hanno scandalizzato nelle immagini che i tg hanno mandato a ripetizione: è negli oceani, nell’aria, nella terra, in ogni luogo accessibile all’uomo. Dalle coste del Libano (vicino all’antica città di Sidone) all'orfanotrofio in Vietnam, dalla Cina alle acque ormai plastificate del fiume Ciliwung, in Indonesia fino anche al Polo, inaspettatamente uno dei posti più inquinati al mondo. Insomma la Campania non sembra più questo mostro anomalo quando ti rendi conto che stiamo trasformando il mondo in una pattumiera a cielo aperto. Quello di Jeremy Irons è anche un viaggio in senso culturale e sociologico: ogni Paese ha le sue tecniche e le sue lungaggini burocratiche che complicano le cose.
Vi siete mai chiesti quanti rifiuti produce in trenta anni una città di normali dimensioni e mediamente popolata? La risposta la dà Jeremy Irons ed è rappresentata da una montagna di rifiuti medici e domestici, di liquidi tossici e animali morti. Detriti che si accumulano giorno dopo giorno: quelli sotto, schiacciati dal peso, scivolano in mare. Basta moltiplicare mentalmente la montagna di rifiuti per il numero di città esistenti e il quadro è drammaticamente completo.
I numeri parlano chiaro: ogni anno buttiamo 58 miliardi di bicchieri usa e getta, miliardi di buste di plastica, 200 miliardi di bottiglie d'acqua, miliardi di tonnellate di rifiuti domestici, tossici ed elettronici. Se nei Paesi più poveri l’ignoranza la fa da padrona (è comune vedere bambini che nuotano nella plastica o donne che lavano i piatti nelle fogne), in quelli “sviluppati”, inquinamento e rifiuti tecnologici sono solo la versione moderna di questo agghiacciante scenario.
La pellicola si chiude con una citazione di Albert Einstein “l’uomo intelligente risolve i problemi. L'uomo saggio li evita". I difensori della specie umana dovrebbero guardare il film prima di gridare all’ennesimo caso di procurato allarmismo visto che il tutto viene documentato nel dettaglio da immagini e spiegato da scienziati ed esperti. Il film comunque vuole essere anche un messaggio di speranza: l’obiettivo è rifiuti zero per il 2020. E’ vero che lascia intuire, senza troppi giri di parole, quello che potrebbe essere il destino del Pianeta se le cose non dovessere cambiare ma suggerisce anche, in maniera costruttiva, come potrebbero cambiare, proponendo soluzioni eco come il compostaggio o l'acquisto di prodotti non imballati.

Parlare di tecnologia DEVE voler dire anche riflettere su alcuni temi che spesso, troppo spesso, abbiamo tanta leggerezza nel sottovalutare.
Tante volte durante i miei esami all’università, ho imparato che alcuni materiali sono “tossici” e quindi questo è un problema.
Fotoresist negativi per processi fotolitografici, silano e così via dicendo.
Ripetendo, leggendo, la verità è che anche io non ho compreso a pieno cosa questo volesse dire: tossici per chi? Solo per l’uomo? Tossici come? Che danni possono provocare? Come si gestiscono allora questi materiali? Come si smaltiscono? Quali sono i loro prodotti durante i processi di produzione?
COME VENGONO EFFETTIVAMENTE GESTITI?
Esiste un processo rigoroso e corretto per la gestione dalla fabbrica fino all’impatto ambientale 0?
Si può fare questa cosa? Quanto costa questo processo? E si può migliorare? E quanto costa?
Le domande sono INFINITE!
Insomma, non si tratta solo di fare la raccolta differenziata oppure di scegliere di non gettare carte per terra, secondo me.
Si tratta di mentalità: porsi il problema di che cosa ci facciamo con i nostri scarti.
Poi ci sarebbe da riflettere su tutta un’altra serie di cosette, che virano verso il consumismo più sfrenato, per chiederci: ma quello che stiamo per gettare è davvero un rifiuto?
Siamo riusciti a rovinare anche le Maldive:
http://en.wikipedia.org/wiki/Thilafushi
Non ho visto il film, ma mi propongo di andarlo a vedere. Ritengo che dovrebbe essere oggetto di studio insieme a tutta la problematica in tutte le scuole del pianeta, solo così si può pensare di cominciare a risolvere il problema. Occorre creare una coscienza ecologica, oggi nella maggior parte di noi inesistente, occorre formare l’uomo nuovo in pace con il proprio ambiente in cui vive e si sviluppa, non nemico inconsapevole, ma amico rispettoso e desideroso di non degradare l’ambiente, che dovrà consentire di vivere gioiosamente alla attuale ma anche alle future generazioni.
Pensi che questo si possa realmente fare in un’economia come quella attuale in cui si sà e/o c’è il sospetto che se anche tu ti impegni a differenziare perfino te stesso in casa alla fine dopo la raccolta gli inceneritori son comuni?
Non è un modo per crititcare ma solo per sollevare un piccolo problema, un dubbio: la coscienza che si deve creare, e sulla quale siamo perfettamente d’accordo, non pensi dovrebbe poggiare su basi solide, per esempio un modello di smaltimento reale e che funzioni in maniera collaudata?
Cos’, per dare un giusto esempio…
Oppure no?
Naturalmente la domanda è per tutti! 😉
Il problema dei rifiuti non esiste solo a Napoli, ma è una realtá triste e comune a tutte le metropoli. La medesima cosa è successa anche a Roma, Milano ed addirittura in certi quartieri di Londra. La differenza sta nell’attenzione mediatica che le viene data. Ergo, è più facile parlare male quando si parla di Napoli. Vi invito a togliere il riferimento alla mia città. Grazie
Salve g.lerro
se leggi bene l’articolo ed in particolare la frase su Napoli, che qui riporto:
“L’inquinamento non è solo nelle montagne di rifiuti di Napoli che tanto ci hanno scandalizzato nelle immagini che i tg hanno mandato a ripetizione:”
potrai ben comprendere che non c’è nulla di offensivo verso la città ed i suoi abitanti, ma viene fatto riferimento appunto a quello che tu dici, l’attenzione mediatica che, nel periodo della stesura dell’articolo, era tutta rivolta ai rifiuti di Napoli. Inoltre la frase dice appunto che NON E’ SOLO lì il problema….
Comunque penso che l’autrice stessa possa confermare quanto sopra.
Caro Emanuele, non ho mai detto nè pensato che l’autrice abbia voluto attaccare Napoli e/o i suoi abitanti, ma sono certo che sarebbe bastato un riferimento generico al problema rifiuti, senza tirarla necessariamente in ballo.