
Siamo arrivati al secondo appuntamento di questo approfondimento dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica (EES). In questo articolo verranno approfondite le singole caratteristiche che possono determinare la scelta di una tecnologia dall’altra, effettuando, di volta in volta, un confronto tra i supercondensatori e le batterie. Premetto che la scelta della tecnologia è soltanto un “trade-off” ossia un compromesso tra le caratteristiche e le prestazione che si vogliono ottenere con il proprio sistema di accumulo. Come poi vedremo nei successivi articoli, al fine di ottenere un oggetto adatto alle proprie esigenze, si ricorrerà a strutture ibride, ma anche in questo caso si tratta di un compromesso tra prestazioni e costo che sicuramente aumenterà nelle voci progettazione (tempi e costo) e componenti.
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Come seconda puntata non mi pare affatto male. Una cosa che secondo me avrebbe potuto essere più precisa è il dettaglio sul tasso di autoscarica dei supercondensatori. Dici che è molto più basso ma è possibile quantificarlo?
Scusa il ritardo nella risposta ma sono stato impegnato. Prima di tutto grazie per la critica e per la richiesta di approfondimento. Il fenomeno di autoscarica dei supercondendsatori viene modellizzato con la resistenza equivalente parallelo, di dimensioni elevate tale da essere trascurata durante lo stato operativo del superCap. Ovvio che tale resistenza entra in gioco quando il superCap è carico a una determinata tensione e risulta disconnesso dal circuito. Se si osserva un datasheet dei superCap non viene riportato tale valore, ma in genere viene riportata una corrente massima di perdita (Max Leakage Current), che per definizione è la corrente che deve essere fornita alla cella affinché questa mantenga la tensione nominale, a cui è stata precedentemente caricata. Questo vuol dire che questa risulta essere proprio la corrente che circola nella resistenza equivalente parallelo. Ad esempio un datasheet della Nesscap per un superCap da 1,5F 5V riporta una Max Leakage Current di 0.02 mA, ossia è ipotizzabile una resistenza equivalente da 250k. Se con tali valori calcoli la costante di tempo di scarica ti viene un valore nell’ordine delle centinaia di ore.
Spero di essere stato esauriente. Se hai necessità di ulteriori approfondimenti non esitare a scriverlo nei commenti. A presto.
In quanto ai condensatori che esplodono, io non ne ho mai visti esplodere in senso stretto. Li ho visti gonfiarsi e di molto, li ho visti perdere liquidi ma esplodere proprio no. Che succede di preciso? È come quando scoppia una batteria?
Se ti può interessare, io ho fatto delle prove con dei condensatori in polipropilene da 400uF carichi a 600V (1000 nominali) e sottoposti ad un ripple di corrente di 110A (doppio rispetto alla nominale).
In queste condizioni ha cominciato subito a scaldarsi, dopo 30 minuti ha cominciato a fumare e dopo un’ora e mezza si è incendiato generando una fiammata molto grande.
Quoto, è successo similmente anche a me.
Ovviamente tutto dipende da quanto si sfora fuori i limiti consentiti. In genere, essendoci un dielettrico posto tra le armature, la tensione nominale è anche quella tensione che non consente il perforamento del dielettrico stesso, ossia il corto tra le armature. Questo però vale soprattutto per i ceramici. Per i condensatori elettrolitici o quelli che comunque contengono sostanze chimiche che interagiscono tra loro (e quindi anche i superCap), superare i limiti operativi (sia in termini di tensione nominale ma anche di corrente) può portare al surriscaldamento e dunque anche all’esplosione del componente. Facilmente su Youtube puoi trovare video di chi ha provato tale brivido.
Grazie del commento, e se desideri ulteriori approfondimenti non esitare a domandare.
I condensatori elettrolitici, specialmente i vecchi elettrolitici nella sezione alimentazione di amplificatori a valvole o vecchie radio o televisori.
All’interno dell’apparecchio fanno spesso un bel danno e non è semplice ripulire il tutto.
Col passare del tempo e l’inattività l’elettrolita si secca ed il condensatore perde parte della capacità ed aumenta la corrente di fuga.
Spesso chi alimenta con tensione di rete un vecchio apparecchio a valvole rimasto per molto tempo inattivo può provocare molti danni fra questi l’esplosione degli elettrolitici.
Su gli elettrolitici moderni ci sono delle incisioni proprio per evitarne l’esplosione.
Se questo argomento può interessare visitate il sito le radio di Sophie.
Sergio